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Strumenti di pianificazione



Sicani, la regione dei laghi 
[click per ingrandire l'immagine] L’impatto economico, sociale e culturale che l’ istituzione di aree protette crea, sul territorio sul quale gravano, è certamente notevole; la pressione antropica crescente, al di fuori e al di dentro delle zone assoggettate ad un regime differenziato nell’uso del territorio, ha, tuttavia, imposto una riconsiderazione della tradizionale strumentazione di vincoli e limitazioni che, fino ad adesso, è stata alla base dell’ordinaria pianificazione.

La necessità, da parte delle Istituzioni, di dover dare risposte a problematiche complesse, originate dalle interdipendenze tra più fattori, espressione delle esigenze del territorio, fa sì che le politiche di pianificazione si diversifichino sulle molteplici e variegate realtà locali che presentano esigenze, criticità e problemi non affrontabili solo con uno strumentario di carattere tradizionale.

L’approccio più comune, vede la conservazione della natura e gli aspetti economici legati allo sviluppo dei territori tutelati, in una logica di contrapposizione e di reciproca limitazione: tuttavia, il sempre più stretto intrecciarsi e sovrapporsi di tematiche ambientali ed economiche, non dovrebbe provocare l’indebolimento delle ragioni della salvaguardia, ma tendere a coniugarsi con quel tipo di sviluppo, meglio noto come sostenibile, in una prospettiva di evoluzione reciproca.

Casa rurale in pietra nel Parco delle Madonie 
[click per ingrandire l'immagine] Ecco perché la pianificazione potrebbe assumere un rilievo fondamentale, grazie alle sue proprietà capaci di individuare, all’interno delle aree protette, forme di sperimentazione innovative di conservazione della natura, di pari passo con strumenti economici ecocompatibili.
La pianificazione, sotto questo profilo, dovrebbe farsi carico di realizzare un’azione congiunta su tutte le variabili e potenzialità esistenti su un territorio per farne un sistema, una rete in cui tutti gli operatori economici possano trovare una propria collocazione e la remuneratività per il proprio lavoro, al fine di evitare il ri-piegamento di queste aree all’interno di gabbie logico-culturali che lamentano la perdita delle tradizioni economiche e artigianali senza considerare, allo stesso tempo, che le logiche di mercato le rendono ormai incapaci, di per sé, a generare nuovo sviluppo.

Dietro ai conflitti di interessi, che il piano è chiamato a comporre, si profila una pluralità di valori che la forma del paesaggio riesce ad esprimere come strumento di comunicazione, come cartina al tornasole di tutte quelle strategie ambientali e culturali che, gli enti gestori di aree vincolate, siano in grado di sviluppare per quei territori; in caso contrario, il paesaggio assumerà sempre più marcatamente, la configurazione di un “non luogo”, non solo per i processi di progressivo degrado ambientale determinati dall’assenza della presenza umana destinati a governarli, ma anche per non riuscire più a manifestare l’identità territoriale e culturale di riferimento.

Riserva Naturale di Vendicari 
[click per ingrandire l'immagine] Natura e cultura sono un binomio inscindibile dove non può non riconoscersi il ruolo della conservazione nel lavoro rurale, dell’abitare diffuso, del mantenimento del presidio umano che si estende anche al di là del perimetro dell’area tutelata.
Il problema di integrare le politiche delle aree protette in quelle più ampie, volte alla conservazione della natura e al miglioramento della qualità ambientale, ha trovato riscontro nello sviluppo della Rete Natura 2000, dove le aree protette vanno pensate come ad una infrastruttura ecologica territoriale all’interno di un sistema complesso, dove le interdipendenze sono molteplici e caratterizzano gli ecosistemi, più o meno intensamente antropizzati, del territorio regionale.

È evidente, in questa prospettiva, che le aree protette non possono in alcun modo essere pensate e gestite come isole separate e staccate dal contesto territoriale, dai valori che quello stesso territorio può esprimere: per cui la loro gestione richiede, di regola, azioni ed interventi che non possono essere confinati al loro interno ed interessano largamente anche i territori esterni.
In quest’ottica, i piani di gestione previsti, dalla Direttiva Habitat, sono modulati in modo tale da individuare, con semplicità, grazie alla preventiva schedatura delle aree di maggior fragilità degli habitat e delle specie faunistiche a rischio, la tipologia e la localizzazione di quelle attività economiche da classificare come compatibili con le finalità di tutela perché caratterizzate da un minor impatto sull’ambiente.

Radici di un albero di faggio 
[click per ingrandire l'immagine] Innovando il contesto legislativo vigente, il disegno di legge contiene, a tal proposito, una apposita sezione relativa alla tutela e gestione delle aree SIC e ZPS in cui ripercorre, sia nelle definizioni che nelle strategie, i contenuti delle direttive comunitarie.
Spetterebbe alla Regione la predisposizione di piani di gestione per i siti della Rete Natura 2000, o per un raggruppamento di siti, dove definire le esigenze ecologiche degli habitat e delle specie, le strategie gestionali, le azioni specifiche da intraprendere e le misure finalizzate al mantenimento di uno loro stato di conservazione soddisfacente, mentre la gestione resterebbe affidata agli Enti Parco e alla Regione.

In sostanza, ciò che sembrano essere cambiate, nella previsione legislativa in esame, sono le ragioni di fondo dello strumento pianificatorio che, superata l’esclusiva logica vincolistica, tenderebbe a coniugare tutela della natura e sviluppo delle aree assoggettate a regimi differenziati, in un’ottica più possibilista.
Per quanto riguarda, poi, più specificatamente le aree parco, il Piano Territoriale del Parco rappresenta uno degli strumenti di pianificazione territoriale più rilevanti, dove viene disciplinata l’organizzazione generale del territorio ricadente all’interno del sistema di protezione; la sua articolazione in zone, caratterizzate da regimi differenziati di uso godimento e tutela; la definizione dell’entità dei vincoli e la delimitazione delle aree ad essi sottoposti; i sistemi di accessibilità e le infrastrutture a servizio delle popolazioni; ma, soprattutto, le finalità di conservazione nonché tutti gli indirizzi necessari per interventi diretti alla preservazione della flora spontanea, della fauna selvatica e dell’ambiente in generale.

Il disegno di legge, in aggiunta alle materie già indicate nella disciplina oggi vigente, prevederebbe interventi programmatori aggiuntivi, diretti a definire l’entità delle aree boscate, l’incidenza degli incendi sul territorio e il recupero dei boschi percorsi dal fuoco, le zone di inedificabilità assoluta, il recupero e la bonifica delle aree inquinate, interventi a favore dell’agricoltura biologica ed ecocompatibile, l’ individuazione di specie e habitat di interesse comunitario o in via di estinzione.

Popolazione dei Parchi naturali siciliani 
[click per ingrandire l'immagine] Anche in questo contesto previsionale sono garantite misure idonee a favorire la partecipazione delle popolazioni interessate all’approvazione del Piano.
Sotto il profilo della natura giuridica, il disegno di legge attribuisce al Piano l’effetto di dichiarazione di pubblico e generale interesse e di urgenza e indifferibilità per gli interventi in esso previsti, con la conseguenza di prevalere sui piani territoriali e urbanistici e su ogni altro strumento di pianificazione generale.

Questa previsione, che, peraltro, ricalca la vigente normativa, tuttavia, sembra porsi in contrasto con quanto disposto dall’art. 145 comma 3 del D. Lgs. 42/2004 e successive modifiche e integrazioni che prevede il principio della prevalenza del piano paesaggistico regionale sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale posti dalle normative di settore, ivi compresi quegli degli Enti gestori delle aree naturali protette.

Tale prevalenza è stata affermata in considerazione del fatto che i territori ricompresi nel perimetro di parchi e riserve non possono essere considerati avulsi dal territorio regionale nel quale pure insistono: pertanto, anche i piani territoriali dei parchi andrebbero adeguati alle prescrizioni contenute nel piano paesaggistico.
È chiaro, tuttavia, che tale adeguamento riguarderebbe solo gli aspetti generali attinenti alla forma del territorio e non anche, ad esempio, questioni più specifiche e particolari in tema di flora o fauna che, in ragione del principio di competenza, resterebbero riservate ai piani dei parchi.

Sentiero agricolo con l'Etna sullo sfondo 
[click per ingrandire l'immagine] Si tratterebbe, dunque, di una supremazia a valenza parziale da cui verrebbero sottratti tutti quegli aspetti contenuti nella pianificazione del parco non specificatamente diretti alla tutela del paesaggio.
Sotto questo profilo, sembrerebbe escludersi una subordinazione di ordine gerarchico tra i due diversi strumenti pianificatori profilandosi, di contro, una posizione, tra loro, di apparente parità, in considerazione della diversità di funzioni e oggetti di rispettiva competenza che non sembrerebbero consentire né una sovrapponibilità né una coincidenza perfetta tra gli stessi.

Infatti, mentre il piano paesaggistico tende al mantenimento degli elementi caratterizzanti la forma visibile del paesaggio, il piano per il parco cerca di coniugare valori ambientali e culturali diversi caratterizzandosi, essenzialmente, per la sua funzione di preservazione della natura.
Al fine di pervenire, dunque, ad una soluzione che cerchi di preservare la specificità del piano del parco rispetto alla generalità del territorio, sottoposto alla pianificazione paesaggistica, è auspicabile che si proceda ad appianare i potenziali conflitti, attraverso strumenti di intesa e collaborazione tra gli uffici competenti nell’ottica della massima collaborazione e in ossequio al principio di sussidiarietà.

È evidente che tanto maggiore sarà il raccordo “a monte” tra gli strumenti pianificatori, tanto più facilmente verrà agevolato l’uso della strumentazione “a valle” soprattutto nei casi di rilascio di nulla-osta.
Lo strumento di pianificazione cui ricollegare, poi, la disciplina e le finalità di carattere economico, è il Programma pluriennale economico – sociale all’interno del quale promuovere le attività compatibili e i soggetti chiamati a realizzarle.

Rifugio di Monte Pomo sulle Madonie 
[click per ingrandire l'immagine] Viene adottato del Consiglio Direttivo (entro un anno dalla sua costituzione), sentita la Comunità del Parco e approvato dall’Assessore Regionale Territorio e Ambiente che, laddove trascorrano infruttuosamente i termini assegnatigli per la sua esitazione, il piano si considera approvato e viene pubblicato.
Dalla disamina fino ad adesso effettuata, non si può, tuttavia, non considerare che la considerevole quantità di strumenti di pianificazione territoriale ed economici, oggi, esistenti rischiano di svuotare il significato intrinseco della stessa pianificazione.

Quest’ultima, c.d. multilivello, non agevola, certo, una facile gestione né delle aree protette, né del territorio regionale, a causa delle difficoltà nel coordinamento e nell’integrazione delle prescrizioni in essa contenute con il rischio, evidente, di sovrapposizioni normative e funzionali tra i vari enti gerarchicamente chiamati ad esercitarla.

Oltre al programma pluriennale economico sociale e ai programmi di intervento, nel disegno di legge assumerebbe particolare rilievo anche l’ipotesi della c.d. sussidiarietà orizzontale, che prevede l’affidamento, in concessione a privati, di attività economico-produttive e di servizi che siano direttamente connessi al raggiungimento dei fini istituzionali dell’Ente. Si agevolerebbero, inoltre, enti e associazioni a svolgere, anche in forma cooperativa, attività e iniziative locali compatibili.

Vegetazione su pietra lavica 
[click per ingrandire l'immagine] Il sistema vincolistico, imposto dalla soggezione delle aree protette ad uno speciale regime di limitazione, verrebbe, così, mitigato dal riconoscimento della specialità per queste zone, e dalla previsione di incentivi e priorità nei finanziamenti della Regione per i territori ricadenti al loro interno.
Il disegno di legge, in questo senso, candiderebbe le aree protette a divenire zone di sperimentazione, nell’ambito della programmazione strategica 2007-2013, purchè le attività siano compatibili con le finalità generali di conservazione e tutela.

Di particolare interesse anche la promozione, da parte degli Enti Parco, d’intesa con i Comuni, dell’utilizzo delle filiere agroalimentari tipiche e di qualità, da riconoscere attraverso l’uso di uno specifico marchio, non solo nella ristorazione, ma anche nelle mense scolastiche ed ospedaliere.

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