Etna, un Parco ''comune''

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Etna, un Parco ''comune''

Foto: Etna, un Parco ''comune''

Siciliaparchi pubblica integralmente l'intervento del Presidente del Parco dell'Etna Marisa Mazzaglia in occasione del forum del 31 ottobre a Palermo, su “La Natura dell’Italia” promosso dal Ministero dell’Ambiente insieme a Federparchi, Fondazione Sviluppo Sostenibile e Unioncamere.

(Nella foto La presidente del Parco dell'Etna Marisa Mazzaglia, a sinistra, con il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri e il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando)

 

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"Etna, Patrimonio dell’Umanità: opportunità per una svolta sociale, culturale, economica per la Sicilia" - di Marisa Mazzaglia, presidente dell'Ente Parco dell'Etna - 

 

 «Dal 21 giugno scorso l’Etna è il quarto patrimonio mondiale naturale italiano, iscritto per criteri naturali dopo le Isole Eolie (un altro sito siciliano), Monte S. Giorgio e le Dolomiti.
Un risultato brillante per l’Italia, un riconoscimento che ha premiato, ancora una volta, le eccezionali caratteristiche del patrimonio naturale italiano e l’importanza delle politiche nazionali, regionali e locali di conservazione e valorizzazione del territorio. Non a caso è stato proprio un Parco, il Parco regionale dell’Etna, lavorando a strettissimo contatto con il Ministero dell’Ambiente, a redigere il poderoso documento di candidatura che ha portato all’iscrizione del sito nell’elenco dei Patrimoni naturalistici dell’Umanità.


Il documento di riconoscimento è, come tutti ben sappiamo, non solo atto celebrativo e formale, ma atto di indirizzo che l’Unesco propone per la gestione e conservazione del sito. Ecco perché nella lettura del documento di riconoscimento del Mount Etna credo occorra fermarsi un attimo, oltre che sulle gratificanti motivazioni, anche sulle altrettanto interessanti “raccomandazioni”.
Dopo l’elogio alle autorità locali e a quelle governative regionali, nazionali ed al personale del parco, guardie forestali, scienziati ed istituzioni scientifiche che hanno collaborato e sostenuto la candidatura, l’Unesco chiede all’Italia di coordinare le autorità nazionali e regionali per mantenere e rafforzare il loro sostegno al Parco e così migliorare la capacità di gestione del sito.
Come?
Collaborando con partner tecnici pubblici e privati per migliorare l’esperienza del visitatore sull’Etna. “Ciò – si legge nelle raccomandazioni dell’Unesco – dovrebbe includere miglioramenti nell’educazione ambientale e strutture di ecoturismo nel sito e strutture per il turismo nella zona cuscinetto ( B e C ) e nelle zone più ampie del Parco”.
Insieme al riconoscimento, dunque, arrivano anche dal Comitato mondiale calde raccomandazioni perché Stato, Regione, Parchi, Comuni, agiscano insieme per il rilancio turistico dell’area coinvolgendo e contagiando in un processo di crescita sostenibile non solo e strettamente la zona che ha ottenuto il riconoscimento Unesco ma anche la “buffer zone”, la zona cuscinetto, dove devono sorgere le strutture di ecoturismo e più in generale quelle volte alla fruizione e all’educazione ambientale.


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Un titolo di riconoscimento non solo formale, dunque, ma l’invito a tutti gli attori istituzionali e privati di farsi motore, lievito, inizio di un processo di sviluppo che contagi tutta l’area intorno all’Etna, innescando un processo virtuoso di turismo armonico e sostenibile, in linea con la straordinarietà del sito riconosciuto.
Partiamo allora dai dati attuali. Sono oltre un milione i visitatori che, da ogni parte del mondo, ogni anno giungono sull’Etna durante una stagione escursionistica che va da marzo/aprile fino ad ottobre/novembre, poco meno di 400.000 quelli che arrivano fino in cima in quella “Zona A”, di riserva integrale che oggi coincide con il sito riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Una esperienza di grande potenza suggestiva che, nella maggior parte dei casi, si consuma in mezza giornata, con scarsa ricaduta sull’economia dell’area etnea e praticamente con un ritorno limitatissimo per il Parco.
Per il resto dell’anno, da dicembre a marzo l’Etna si trasforma in una meta di turismo invernale, con fruitori quasi esclusivamente regionali o locali. Si dovrebbe invece puntare maggiormente su una delle tante unicità dell’Etna, che per tre mesi l‘anno è una straordinaria stazione sciistica, sospesa tra neve e mare, la più a sud di tutta Europa, incrementando quelle attività sportive che sono poco impattanti, come lo sci da fondo o lo sci escursionismo, il trekking e le ciaspolate, puntando anche su questi incredibili ossimori che ci regala la natura: l’opportunità di sciare sul fuoco dell’Etna, in montagna ma guardando il mare.

 

Si fa sempre più strada anche il turismo più prettamente naturalistico, come dimostra la costante crescita, sia dentro il Parco che nei venti Comuni che lo compongono, di forme di ospitalità più legate al territorio come i b&b e le strutture di turismo rurale. Ve inoltre registrato il dato, estremamente positivo, già registrato anche nella stagione in corso, che vede sull’Etna un incremento di presenze nonostante la crisi.
L’obiettivo, dunque è trasformare il turismo mordi e fuggi (espressione che a me sembra coincidere con la filosofia dell’“usa e getta”) o quello stagionale in una esperienza di vita all’interno del Parco che porti ad assaporare ambiente, cultura, natura e sapori in rete con gli altri straordinari siti e prodotti della Sicilia per tutte le quattro stagioni.
Per far questo occorre assicurare all’ambiente etneo cura e decoro.
Non è un mistero che la frammentazione di competenze all’interno del territorio del Parco produce alcune difficoltà a gestire soprattutto l’aspetto del controllo ambientale. Il Parco dell’Etna, infatti, non è dotato di Guardaparco (che invece, sempre in Sicilia, vi sono nel vicino Parco dei Nebrodi) e si affida per il controllo del territorio al Corpo Forestale della Regione Siciliana. Nel Parco tale Corpo è organizzato per distaccamenti, ogni distaccamento ha organici ridotti, ma soprattutto ha ritmi e priorità diverse nel programmare i servizi di controllo.

Cosi', abbiamo cercato di trasformare la spinta del riconoscimento Unesco in una esperienza condivisa dalla comunità del Parco, utile per risolvere in parte il problema dei rifiuti. Con 38 associazioni di volontariato del territorio etneo abbiamo costituito il Forum Ambiente del Parco, la cui operatività abbiamo testato il 5 ottobre scorso con una manifestazione di affetto corale per l’Etna “ Meglio Parco che Sporco” che ha visto sul campo oltre 500 volontari, impegnati a comunicare, ripulire, aver cura del nostro vulcano. Adesso stiamo pensando insieme al futuro pulito della nostra “muntagna”, con convenzioni per l’adozione dei sentieri o dei siti del cuore, con cui le singole associazioni si impegneranno, insieme al Parco ed all’Azienda Foreste a manutentare e tenere pulita la rete sentieristica dell’Etna.
«Come adesso l’Etna sembra diventata di tutti?”, scrive sul settimanale Vivere in un suo articolo Sergio Mangiameli, giovane e brillante giornalista e scrittore appassionato di montagna. Il cambio di rotta da quel 21 giugno è nell’aria.


Cito questo quesito perché io credo che la spinta del riconoscimento Unesco, oltre a mettere in moto aspettative ed economia è anche una grande occasione per ricreare quello spirito di identità culturale che è, a mio avviso, il segreto del successo di un territorio. Solo quando le popolazioni autoctone avvertono come totalmente loro quello spazio pubblico che li definisce, inizia quel processo che porta alla cura, al rispetto, alla crescita di un’area. L’esempio più forte in tal senso viene dalle valli del Trentino o dell’Alto Adige ed è un processo culturale forte cui partecipano le Istituzioni ma anche i singoli, un processo che si innesca soprattutto facendo leva sull’educazione ambientale e sulla scuola che deve essere anch’essa sempre più “green”.
Passo adesso brevemente ad un altro tema che credo sia una delle chiavi più interessanti che legano i parchi ad una green economy che coniuga ambiente e futuro, l’agricoltura.
La copertina de L'Espresso di questa settimana, sotto il titolo: “Green università” annuncia il boom di iscritti, in tutta Italia, nelle facoltà di agraria e biotecnologia. Le aspirazioni bucoliche dei giovani italiani vanno di pari passo con le rilevazioni statistiche che segnano una buona tenuta delle imprese agricole, specie di quelle che fanno agricoltura di qualità, ed anzi un timido incremento che fa pensare ad un nuovo corso “verde” e non solo dentro i Parchi.
In essi, per anni, anche l’agricoltura ha subito un decremento, complici l’abbandono per altri settori dell’economia che sembravano più ricchi e vitali e quelli che erano spazi curati e produttivi oggi sono aree in abbandono e spesso degradate.
Dai giovani invece viene per tutti noi un segnale importante. Tra le nuove generazioni, evidentemente vi è qualcosa che sta cambiando nell’attenzione all’ambiente, nella concezione di una nuova sostenibilità, nell’attenzione al cibo ed al modo con cui si produce. Forse la crisi ha costituito una miccia per l’innescarsi di questo processo di ritorno all’agricoltura, ma ciò che è certo è che la realtà del nostro Paese è talmente ricca di prodotti straordinari che offrirà opportunità incredibili a chi voglia cimentasi in questi mestieri. Non credo che i giovani torneranno a fare i contadini proprio come facevano i nostri nonni, credo invece che coniugheranno nuovi saperi, nuove professionalità con una agricoltura che immagino ricca, creativa, tecnologica ma nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente. Dentro i Parchi dobbiamo aprire le porte ad una nuova ruralità multifunzionale che insieme alle produzioni di qualità offra anche ospitalità turistica, energie rinnovabili, conservazione del paesaggio e rispetto della biodiversità.


L’Etna è nota per essere il vulcano attivo più alto d’Europa, meno per la natura che vi sta intorno.
Uno dei siti più straordinari che si trovano sull’Etna è un bosco fiabesco di querce secolari che si trova su un conetto vulcanico spento: monte Egitto, nel comune di Bronte. Una querceta che ha resistito all’impatto dei secoli creando un habitat equilibrato e vitale, fino a quando, negli anni Cinquanta, l’uomo non è intervenuto impiantando, attorno alle vecchie querce, un fitto rimboschimento di pino laricio. A cinquant’anni di distanza quei pini sono diventati più alti delle querce e ne minacciano la sopravvivenza. Il Parco dell’Etna, consapevole che in qualsiasi parte del mondo attorno ad un sito così straordinario, dove sono stati censiti 58 esemplari plurisecolari di quercia, sarebbe nato per ciò solo un Parco, ha intrapreso da sei mesi a questa parte una serie di azioni per procedere al monitoraggio ed alla programmazione degli interventi necessari a salvare le querce di monte Egitto ed insieme a confermare le tracce della presenza di due coleotteri minacciati di estinzione: l’Osmoderma Eremita e il Cerambide della quercia (Cerambix cedro).
Concludo infine citando Serge Latouche, che abbiamo avuto l’onore di ospitare sull’Etna solo pochi giorni fa : “E’ escluso il rilancio dell’occupazione attraverso il consumo. La disoccupazione, la diseguaglianza, e l’esaurimento delle risorse naturali sono dipendenti l’una dall’altra. L’attuale modello economico sociale non funziona ed è la causa della crisi: bisogna mettere in atto un cambiamento sistemico con basse emissioni di carbonio in cui si riduca drasticamente la nostra impronta ecologica. Il fallimentare paradigma: più produzione – più occupazione – più consumo, deve essere sostituito con uno che non punti ad una crescita insostenibile ed indefinita in un pianeta dalle risorse esauribili, un paradigma che abbia il “senso del limte” biologico, fisico, economico, sociale, ambientale che promuova l’autonomi individuale e promuova l’uso corretto del cibo commestibile, acqua e aria pulita e l’equa ripartizione tra gli uomini».

 
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